mercoledì 18 ottobre 2017

è NATO- IL PRIMO FIGLIO LETTERARIO-

È nato
-Il primo figlio letterario-
Di Tea salis

È nato, un soffio sofferto e tempestoso, frutto di un amore incontrollato e meccanicamente organizzato, ma anche frutto di passione e di un qualcosa che difficilmente raggiunge la comprensione razionale.
Era lì, tra le mie mani, un odore di nuovo e di pulito mi avvolgeva, così fragile e piccolo. Si distinguevano tutti i caratteri, particolari legati al mio corpo e alla mia anima. È nato proprio il giorno del mio compleanno, una coincidenza apparente dietro una verità legata all’inesistenza del caso che si sfalda, come una rosa che piano, perde i petali intimoriti dalla brezza.
Prima ancora di pensarlo, mi trovavo a scrivere come blogghista su my space, all’epoca, uno dei primi social, scrivevo pensieri e mi divertiva condividere frasi e foto, di esperienze di vissuto quotidiano, dove un estraneo poteva dare un giudizio privo di qualsiasi attaccamento personale. In seguito la mia inclinazione nella scrittura mi portò a cercare un portale che avesse veramente le sembianze di un “diario personale letterario”, distaccandomi quindi dal senso di social per cercare proprio uno spazio dedicato alla scrittura e in particolare all’arte, così conobbi Splinder - è strano come l’uomo riesca a pensare ad un qualsiasi oggetto, che sia materiale o astratto, come fosse una persona-  quindi si, conobbi Splinder, una persona, e arrivò Feeria. Feeria, si, un omaggio a Tolkien, il reame periglioso e incantato dove l’immaginazione è più vera di una realtà tangibile e dove la libertà di espressione raggiunge picchi indescrivibili, imperscrutabili. Così doveva essere il blog. Doveva contenere i miei pensieri, i più intimi, i più astrusi, e tutto ciò che la mia mente elaborava artisticamente, nonché le notizie e le novità sul mio operato, sempre nel campo artistico.
Splinder non era solo uno spazio, perché come spazio personale si può benissimo scrivere un diario –i diari sono l’animo della vita, si differenziano dai ricordi perché non ne cambiano la verità, il ricordo con il passare degli anni, nonostante sia impresso nella memoria, tende a sfumare  o a cambiare qualche particolare, mentre il diario riporta le azioni, il colore dei sentimenti, il profumo dei gesti, il suono dei movimenti tali e quali come sono nati, pronti a riaffiorare nello stesso splendore quando vengono ripresi, capita anche di leggere qualcosa di dimenticato, o qualcosa che non si riesce a ricordare ma sai che è successo perché è scritto lì, nel tuo diario, in un preciso momento della tua vita, pronto a rispondere a molte domande che spiegano il perché di un gesto o di un modo di pensare che si ha, anni dopo- splinder, per tornare al filo del discorso era lo spazio che apriva il mio animo ad altre persone, come se chiunque passasse per Feeria ne stava violando i segreti, ne stava assaporando ogni forma, lasciata alla mercé di pareri, di altre labbra che a voce alta ne distinguevano caratteri e particolari o ne baciavano l’ampiezza, entrandovi smaniosamente.
Da my space a splinder erano nate amicizie che mi aiutavano a concepire il bambino che cresceva dentro di me, regalandomi pensieri, carezze e abbracci indicibili, ma anche raccomandazioni e spesso inadeguati commenti. Era normale ricevere anche delle presenze sgradite, splinder aveva tante stanze, e alcune venivano prese d’assalto da persone che non ne condividevano l’essenza, da gelose membra che incespicavano fra parole e nefandezze.
La stanza della donna bianca fu l’assoluto inizio della passione pronta a seminare, racchiudeva un piccolo racconto che dava inizio all’ amore per la scrittura come qualcosa di serio e inafferrato. Era il racconto di una donna misteriosa che entrava in casa mia, in modo spettrale e indefinito, annunciando la triste notizia, la morte di mia mamma, successe non molto lontano da casa, mentre giocavo senza malizia, con la fertile gioia di una bambina di undici anni, in una colonia estiva in montagna, in una landa immersa nel verde di quella bellissima isola che tanto mi appartiene.  Quel racconto destò l’interesse di diverse persone che volevano sapere il continuo della storia, ma in realtà il racconto nacque da solo, e nacque molto prima anche di splinder.
Nacque a undici anni, quando mia sorella mi teneva la mano e mi diceva in altre parole che mia madre era volata in cielo, ma la verità è che quando una persona è morta, è morta, mentre l’uomo tende sempre a dire, mamma è volata in cielo, o mamma ci ha lasciato, non ricordo in che modo lo disse, ma non disse mai è morta. Eppure è così, è morta, come se la durezza di questa parola portasse ad una certa consapevolezza mentre il dire “ci ha lasciti “o “è mancata” comporti il non averla persa del tutto lasciando l’infinita speranza che non ci abbia mai lasciati veramente.
Ma non è così, perché il tempo passa e ti accorgi che non c’è, nonostante la sua presenza sia sempre sentita in ogni parte della mia giornata. Ecco quella storia, la storia della donna misteriosa, nacque a in realtà a 11 anni, ed è proprio grazie al diario personale di bambina che mi sono ricordata di quando alle medie, il primo anno delle medie, nonché il primo anno scolastico senza mia madre, scrissi la storia della donna misteriosa – va specificato che la donna misteriosa, io non l’ho mai vista, ma è un fatto raccontato da mia sorella, successo proprio la notte prima della morte di mia madre- in un tema d’italiano. Il professore rimase affascinato dalla storia, un tipetto piccoletto, il proff., lo ricordo come di una persona molto gentile, con la faccia quadrata, gli occhiali, gli occhi piccoli e tanto disponibile nelle spiegazioni e nel far capire l’unica materia- insieme alla filosofia- a cui molti anni dopo mi sono affezionata, la letteratura; comunque mi disse di ricopiarlo in bella e di spedirlo per un concorso, dovrei ricontattarlo per poter ritrovare quel tema.
Non lo ricopiai mai, non partecipai, nonostante le insistenze. Non so perché, ero pigra, forse non ci credevo, ero triste, e senza mamma, forse se ci fosse stata una persona accanto a me a seguirmi, non so, un cenno di incoraggiamento, lo avrei fatto. Forse.
Ma a quanto pare quel racconto mi perseguitava, e anni dopo, decisi di riscriverlo, probabilmente con una scrittura più ricercata di una bambina delle medie, e una testa diversa, meno ribelle, più matura. Ripresi la storia e la riportai prima su my space e poi su splinder, ricordo che una cara amica di vita e un caro amico di penna splinderiano me lo corressero, trovando mille refusi di forma ed io ero felice di entrare in quel mondo di correzioni, di stirature di frasi, sistemate poi da un ferro da stiro che ne limava le pieghe, gli errori.
Cresceva in me la voglia di non soffermarmi a semplici frasi, di non soffermarmi a condividere poesie ma di realizzare un romanzetto, perché a differenza di quando avevo undici anni, dove nessuno a parte l’insistenza del professore che dopo l’orario di lavoro non vedevo più, mi incoraggiava ad andare a fondo, adesso mi incitavano a continuare a scrivere, a continuare quel racconto misterioso, a parlare di me, a raccontare una storia.
Così entrai con passo felpato, nel mondo della letteratura, per ora da principiante. Fino ad ora ero stata lettrice, studiosa, “secchiona”, scrivevo pensieri sciolti, e poesie, la cui ampiezza verrà ripresa in canzoni e alternata al raccontare.
Ero gasata, felice, curiosa, leggevo a dismisura, mi confrontavo e avevo perfino deciso di iscrivermi all’università, volevo diventare brava, davvero brava. All’università ci arrivai, filosofia naturalmente, ma ahimè per questioni economiche e sconvolgimento famigliare dovetti abbandonare. Così studiai da sola, e crescevo come persona, come scrittrice, come artista, mi confrontavo e accarezzavo la tastiera del computer con passione, come se stessi facendo l’amore con le parole che da sole mi uscivano dalla mente, delle volte spontanee, delle volte ricercate, formavo frasi, periodi, che poi riguardavo e rileggevo. Ricominciavo e riprendevo. Facevo errori, anche, ciò che scrissi le prime volte, rileggendole oggi, cambierebbero sicuramente molti intrecci di parole. Ma era bello anche poter sbagliare, poter conoscere questo mondo, a tratti, per poter trarne crescita e diventare pian piano più brava.
Cominciai con la donna misteriosa, bianca perché candida e fantasmagorica, bellissima in ogni gesto, ciò che Dio poteva aver creato era racchiuso in lei, e lei era il simbolo di elevazione, passaggio tra la vita e la morte, nelle sembianze di una donna. Continuai con viaggi onirici uniti a poesie e gesti che anelavano la mia vita formando una catena di attimi ricchi di intensità e di pathos.
Scrivere, e scrivere, e….  e, come scrissi più avanti
Scrivere è l’estensione di me stessa
E poi… cercare l’aspetto musicale delle frasi, leggevo a voce alta, per ascoltare il suono di quelle parole e per sentire se rendevano proprio il timbro che desideravo, la musica è presente in ogni vocale e consonante, quando si uniscono, formano accordi e armonia.
Ormai era concepito, i mesi passati a cullarlo, a sentirlo e a condividere paure, si muoveva dentro, tra gioie e incertezze. Cresceva, tra una carezza, tra inquietudini sul futuro, tra mirabili gesti quotidiani, in cui non si è mai certi di quello che stai facendo, ma come in Feeria, si è in un reame periglioso quanto altrettanto magico e fantastico.
Immagino che fino ad ora abbiate pensato che stessi parlando di un bambino, non ero in cinta, il mio bambino era il concepimento naturale di un libro cartaceo, uno dei miei figli più preziosi, il primo libro, opera prima si dice, con tutti i suoi errori, da principiante, ma anche bellissime frasi e dolci armonie di perfetti accostamenti, con tutte le sue splendide evocazioni, di viaggi tra il reale e il surreale, di toccanti   stati umani, di dolori e scoperte.
Il concepimento dava inizio ad una gravidanza lunga tre anni, durante il quale in comunione con i cambiamenti del libro, i cambiamenti della mia vita. In quei mesi da splinder passai a blogger, purtroppo il mio amato Splinder morì, ecco di nuovo, ne parlo come di una persona, perché così era dentro di me. Blogger, ammetto non mi diede le stesse soddisfazioni, splinder era stato qualcosa di magico, insostituibile, come trovare l’uomo della tua vita, quello che talmente è perfetto per te che se dovesse mancare sai già in partenza che non verrà mai sostituito e ti rimane in bocca quell’amara malinconia, come di una mancanza incolmabile.
Un giorno partecipai alla presentazione di un libro, favole per bambini, e incontrai finalmente il medico che avrebbe fatto partorire il mio primo figlio letterario, lo aveva appena fatto per il libro della presentazione. Capelli bianchi, non molto alto, un gran bel portamento e una delicatezza nell’uso del linguaggio che ti traportava, convincente, un bravo sofista direi.  A fine serata tra una chiacchiera e l’altra, tra una curiosità e l’altra, mi chiese di vedere il manoscritto e prendemmo appuntamento per una visita.
Da quel momento ogni cosa prese il suo corso e tutto fluiva come di un divenire libico, biblico e sacro nella mia mente, lasciavo scorrere gli eventi, era giusto e armonioso, nonostante la vita mi stesse preservando, altrove, tante difficoltà, mi stava anche donando un nuovo inizio, una rinascita, una nuova avventura, da quel momento stavo per entrare ufficialmente nel mondo che da lì in poi mi avrebbe sempre accompagnato regalandomi momenti bellissimi.
L’ansia preparto, dove non sai mai come sarà il momento fatidico, e lì a controllare e ricontrollare che ogni cosa sia al posto giusto, che ogni frase sia disposta nel modo corretto.
Ricordo ancora quel viaggio lunghissimo, interminabile, per arrivare alla clinica dove mi aspettava, il figlio in fasce di cartone imballato, quel figlio tanto atteso.
Ricordo ancora l’odore e il sapore dolciastro delle mie labbra, il mordicchiarmi il labbro inferiore, segno di attesa e di ansia.
Ricordo ancora la telefonata,
è nato
e le emozioni che filtravano da un finestrino abbassato durante una calda giornata d’estate, era il giorno del mio compleanno e nasceva il mio primo libro.
Il travaglio durò un’ora, l’arsura del sole era soffocante, e rivoli di sudore nella pancia, finché lo vidi, era bellissimo.
Leggero, fragile, indescrivibile, con il mio nome scritto in cima, vi rendete conto? Il mio nome. Una trasposizione d’anima, la mia fluttuava anche dentro quel piccolo figlio, pieno di me, in vene e arterie d’inchiostro e cellule di carta. Il primo capitolo “la donna bianca”.
Seguirono presentazioni, successi e traguardi, ma anche delusioni e insegnamenti costruttivi. Seguirono altri libri, ma non con la stessa preziosità. Lui era unico. Gli altri avevano un’unicità diversa, bella ma diversa. Era unico perché nonostante le sue pecche, gli errori di forma che si vedranno solo dopo, le disattenzioni, refusi, continuava ad essere bellissimo, per me, e continua a dare emozioni, oggi:
quelle ad esempio di chi rimane colpito piacevolmente quando lo leggi,
quelle emozioni delle persone che incontri grazie a lui.
Grazie a quel libro ho intrapreso una strada,
quella di fare la scrittrice,
 e grazie a quel libro ho incontrato amici, artisti e scrittori professionisti che mi hanno aiutato a crescere, ad imparare e ad immergermi sempre di più in questo mondo dove io mi sento sempre più legata e affezionata, dove io affino ogni giorno il mio modo di scrivere e spero di regalare attimi, donare evasioni, ed evadere io stessa. Oggi scrivo meglio, ma mai l’intensità di quel primo libro, con tutte le sue imperfezioni sarà sostituita.
Il primo libro è come il primo gesto che fai di ogni cosa.







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