È nato
-Il primo
figlio letterario-
Di Tea
salis
È nato, un soffio sofferto e tempestoso, frutto di un amore
incontrollato e meccanicamente organizzato, ma anche frutto di passione e di un
qualcosa che difficilmente raggiunge la comprensione razionale.
Era lì, tra le mie mani, un odore di nuovo e di pulito mi
avvolgeva, così fragile e piccolo. Si distinguevano tutti i caratteri,
particolari legati al mio corpo e alla mia anima. È nato proprio il giorno del
mio compleanno, una coincidenza apparente dietro una verità legata
all’inesistenza del caso che si sfalda, come una rosa che piano, perde i petali
intimoriti dalla brezza.
Prima ancora di pensarlo, mi trovavo a scrivere come
blogghista su my space, all’epoca, uno dei primi social, scrivevo pensieri e mi
divertiva condividere frasi e foto, di esperienze di vissuto quotidiano, dove
un estraneo poteva dare un giudizio privo di qualsiasi attaccamento personale. In
seguito la mia inclinazione nella scrittura mi portò a cercare un portale che
avesse veramente le sembianze di un “diario personale letterario”,
distaccandomi quindi dal senso di social per cercare proprio uno spazio dedicato
alla scrittura e in particolare all’arte, così conobbi Splinder - è strano come
l’uomo riesca a pensare ad un qualsiasi oggetto, che sia materiale o astratto,
come fosse una persona- quindi si,
conobbi Splinder, una persona, e arrivò Feeria. Feeria, si, un omaggio a
Tolkien, il reame periglioso e incantato dove l’immaginazione è più vera di una
realtà tangibile e dove la libertà di espressione raggiunge picchi
indescrivibili, imperscrutabili. Così doveva essere il blog. Doveva contenere i
miei pensieri, i più intimi, i più astrusi, e tutto ciò che la mia mente
elaborava artisticamente, nonché le notizie e le novità sul mio operato, sempre
nel campo artistico.
Splinder non era solo uno spazio, perché come spazio
personale si può benissimo scrivere un diario –i diari sono l’animo della vita,
si differenziano dai ricordi perché non ne cambiano la verità, il ricordo con
il passare degli anni, nonostante sia impresso nella memoria, tende a
sfumare o a cambiare qualche
particolare, mentre il diario riporta le azioni, il colore dei sentimenti, il
profumo dei gesti, il suono dei movimenti tali e quali come sono nati, pronti a
riaffiorare nello stesso splendore quando vengono ripresi, capita anche di
leggere qualcosa di dimenticato, o qualcosa che non si riesce a ricordare ma
sai che è successo perché è scritto lì, nel tuo diario, in un preciso momento
della tua vita, pronto a rispondere a molte domande che spiegano il perché di
un gesto o di un modo di pensare che si ha, anni dopo- splinder, per tornare al
filo del discorso era lo spazio che apriva il mio animo ad altre persone, come
se chiunque passasse per Feeria ne stava violando i segreti, ne stava
assaporando ogni forma, lasciata alla mercé di pareri, di altre labbra che a
voce alta ne distinguevano caratteri e particolari o ne baciavano l’ampiezza,
entrandovi smaniosamente.
Da my space a splinder erano nate amicizie che mi aiutavano a
concepire il bambino che cresceva dentro di me, regalandomi pensieri, carezze e
abbracci indicibili, ma anche raccomandazioni e spesso inadeguati commenti. Era
normale ricevere anche delle presenze sgradite, splinder aveva tante stanze, e
alcune venivano prese d’assalto da persone che non ne condividevano l’essenza,
da gelose membra che incespicavano fra parole e nefandezze.
La stanza della donna bianca fu l’assoluto inizio della
passione pronta a seminare, racchiudeva un piccolo racconto che dava inizio all’
amore per la scrittura come qualcosa di serio e inafferrato. Era il racconto di
una donna misteriosa che entrava in casa mia, in modo spettrale e indefinito,
annunciando la triste notizia, la morte di mia mamma, successe non molto
lontano da casa, mentre giocavo senza malizia, con la fertile gioia di una
bambina di undici anni, in una colonia estiva in montagna, in una landa immersa
nel verde di quella bellissima isola che tanto mi appartiene. Quel racconto destò l’interesse di diverse
persone che volevano sapere il continuo della storia, ma in realtà il racconto
nacque da solo, e nacque molto prima anche di splinder.
Nacque a undici anni, quando mia sorella mi teneva la mano e
mi diceva in altre parole che mia madre era volata in cielo, ma la verità è che quando una
persona è morta, è morta, mentre l’uomo tende sempre a dire, mamma è volata in
cielo, o mamma ci ha lasciato, non ricordo in che modo lo disse, ma non disse
mai è morta. Eppure è così, è morta, come se la durezza di questa parola portasse
ad una certa consapevolezza mentre il dire “ci ha lasciti “o “è mancata”
comporti il non averla persa del tutto lasciando l’infinita speranza che non ci
abbia mai lasciati veramente.
Ma non è così, perché il tempo passa e ti accorgi che non
c’è, nonostante la sua presenza sia sempre sentita in ogni parte della mia
giornata. Ecco quella storia, la storia della donna misteriosa, nacque a in
realtà a 11 anni, ed è proprio grazie al diario personale di bambina che mi
sono ricordata di quando alle medie, il primo anno delle medie, nonché il primo
anno scolastico senza mia madre, scrissi la storia della donna misteriosa – va
specificato che la donna misteriosa, io non l’ho mai vista, ma è un fatto
raccontato da mia sorella, successo proprio la notte prima della morte di mia
madre- in un tema d’italiano. Il professore rimase affascinato dalla storia, un
tipetto piccoletto, il proff., lo ricordo come di una persona molto gentile,
con la faccia quadrata, gli occhiali, gli occhi piccoli e tanto disponibile
nelle spiegazioni e nel far capire l’unica materia- insieme alla filosofia- a
cui molti anni dopo mi sono affezionata, la letteratura; comunque mi disse di
ricopiarlo in bella e di spedirlo per un concorso, dovrei ricontattarlo per
poter ritrovare quel tema.
Non lo ricopiai mai, non partecipai, nonostante le
insistenze. Non so perché, ero pigra, forse non ci credevo, ero triste, e senza
mamma, forse se ci fosse stata una persona accanto a me a seguirmi, non so, un
cenno di incoraggiamento, lo avrei fatto. Forse.
Ma a quanto pare quel racconto mi perseguitava, e anni dopo,
decisi di riscriverlo, probabilmente con una scrittura più ricercata di una
bambina delle medie, e una testa diversa, meno ribelle, più matura. Ripresi la
storia e la riportai prima su my space e poi su splinder, ricordo che una cara
amica di vita e un caro amico di penna splinderiano me lo corressero, trovando
mille refusi di forma ed io ero felice di entrare in quel mondo di correzioni,
di stirature di frasi, sistemate poi da un ferro da stiro che ne limava le
pieghe, gli errori.
Cresceva in me la voglia di non soffermarmi a semplici frasi,
di non soffermarmi a condividere poesie ma di realizzare un romanzetto, perché
a differenza di quando avevo undici anni, dove nessuno a parte l’insistenza del
professore che dopo l’orario di lavoro non vedevo più, mi incoraggiava ad
andare a fondo, adesso mi incitavano a continuare a scrivere, a continuare quel
racconto misterioso, a parlare di me, a raccontare una storia.
Così entrai con passo felpato, nel mondo della letteratura,
per ora da principiante. Fino ad ora ero stata lettrice, studiosa, “secchiona”,
scrivevo pensieri sciolti, e poesie, la cui ampiezza verrà ripresa in canzoni e
alternata al raccontare.
Ero gasata, felice, curiosa, leggevo a dismisura, mi
confrontavo e avevo perfino deciso di iscrivermi all’università, volevo
diventare brava, davvero brava. All’università ci arrivai, filosofia naturalmente,
ma ahimè per questioni economiche e sconvolgimento famigliare dovetti
abbandonare. Così studiai da sola, e crescevo come persona, come scrittrice,
come artista, mi confrontavo e accarezzavo la tastiera del computer con
passione, come se stessi facendo l’amore con le parole che da sole mi uscivano
dalla mente, delle volte spontanee, delle volte ricercate, formavo frasi, periodi,
che poi riguardavo e rileggevo. Ricominciavo e riprendevo. Facevo errori,
anche, ciò che scrissi le prime volte, rileggendole oggi, cambierebbero
sicuramente molti intrecci di parole. Ma era bello anche poter sbagliare, poter
conoscere questo mondo, a tratti, per poter trarne crescita e diventare pian
piano più brava.
Cominciai con la donna misteriosa, bianca perché candida e
fantasmagorica, bellissima in ogni gesto, ciò che Dio poteva aver creato era
racchiuso in lei, e lei era il simbolo di elevazione, passaggio tra la vita e
la morte, nelle sembianze di una donna. Continuai con viaggi onirici uniti a
poesie e gesti che anelavano la mia vita formando una catena di attimi ricchi
di intensità e di pathos.
Scrivere, e scrivere, e…. e, come scrissi più avanti
Scrivere è l’estensione di me stessa
E poi… cercare l’aspetto musicale delle frasi, leggevo a voce
alta, per ascoltare il suono di quelle parole e per sentire se rendevano
proprio il timbro che desideravo, la musica è presente in ogni vocale e
consonante, quando si uniscono, formano accordi e armonia.
Ormai era concepito, i mesi passati a cullarlo, a sentirlo e
a condividere paure, si muoveva dentro, tra gioie e incertezze. Cresceva, tra
una carezza, tra inquietudini sul futuro, tra mirabili gesti quotidiani, in cui
non si è mai certi di quello che stai facendo, ma come in Feeria, si è in un
reame periglioso quanto altrettanto magico e fantastico.
Immagino che fino ad ora abbiate pensato che stessi parlando
di un bambino, non ero in cinta, il mio bambino era il concepimento naturale di
un libro cartaceo, uno dei miei figli più preziosi, il primo libro, opera prima
si dice, con tutti i suoi errori, da principiante, ma anche bellissime frasi e
dolci armonie di perfetti accostamenti, con tutte le sue splendide evocazioni,
di viaggi tra il reale e il surreale, di toccanti stati
umani, di dolori e scoperte.
Il concepimento dava inizio ad una gravidanza lunga tre anni,
durante il quale in comunione con i cambiamenti del libro, i cambiamenti della
mia vita. In quei mesi da splinder passai a blogger, purtroppo il mio amato
Splinder morì, ecco di nuovo, ne parlo come di una persona, perché così era
dentro di me. Blogger, ammetto non mi diede le stesse soddisfazioni, splinder
era stato qualcosa di magico, insostituibile, come trovare l’uomo della tua
vita, quello che talmente è perfetto per te che se dovesse mancare sai già in
partenza che non verrà mai sostituito e ti rimane in bocca quell’amara
malinconia, come di una mancanza incolmabile.
Un giorno partecipai alla presentazione di un libro, favole
per bambini, e incontrai finalmente il medico che avrebbe fatto partorire il
mio primo figlio letterario, lo aveva appena fatto per il libro della
presentazione. Capelli bianchi, non molto alto, un gran bel portamento e una
delicatezza nell’uso del linguaggio che ti traportava, convincente, un bravo
sofista direi. A fine serata tra una
chiacchiera e l’altra, tra una curiosità e l’altra, mi chiese di vedere il
manoscritto e prendemmo appuntamento per una visita.
Da quel momento ogni cosa prese il suo corso e tutto fluiva
come di un divenire libico, biblico e sacro nella mia mente, lasciavo scorrere
gli eventi, era giusto e armonioso, nonostante la vita mi stesse preservando,
altrove, tante difficoltà, mi stava anche donando un nuovo inizio, una
rinascita, una nuova avventura, da quel momento stavo per entrare ufficialmente
nel mondo che da lì in poi mi avrebbe sempre accompagnato regalandomi momenti
bellissimi.
L’ansia preparto, dove non sai mai come sarà il momento
fatidico, e lì a controllare e ricontrollare che ogni cosa sia al posto giusto,
che ogni frase sia disposta nel modo corretto.
Ricordo ancora quel viaggio lunghissimo, interminabile, per
arrivare alla clinica dove mi aspettava, il figlio in fasce di cartone imballato,
quel figlio tanto atteso.
Ricordo ancora l’odore e il sapore dolciastro delle mie
labbra, il mordicchiarmi il labbro inferiore, segno di attesa e di ansia.
Ricordo ancora la telefonata,
è nato
e le emozioni che filtravano da un finestrino abbassato
durante una calda giornata d’estate, era il giorno del mio compleanno e nasceva
il mio primo libro.
Il travaglio durò un’ora, l’arsura del sole era soffocante, e
rivoli di sudore nella pancia, finché lo vidi, era bellissimo.
Leggero, fragile, indescrivibile, con il mio nome scritto in
cima, vi rendete conto? Il mio nome. Una trasposizione d’anima, la mia
fluttuava anche dentro quel piccolo figlio, pieno di me, in vene e arterie
d’inchiostro e cellule di carta. Il primo capitolo “la donna bianca”.
Seguirono presentazioni, successi e traguardi, ma anche
delusioni e insegnamenti costruttivi. Seguirono altri libri, ma non con la
stessa preziosità. Lui era unico. Gli altri avevano un’unicità diversa, bella
ma diversa. Era unico perché nonostante le sue pecche, gli errori di forma che
si vedranno solo dopo, le disattenzioni, refusi, continuava ad essere
bellissimo, per me, e continua a dare emozioni, oggi:
quelle ad esempio di chi rimane colpito piacevolmente quando
lo leggi,
quelle emozioni delle persone che incontri grazie a lui.
Grazie a quel libro ho intrapreso una strada,
quella di fare la scrittrice,
e grazie a quel libro
ho incontrato amici, artisti e scrittori professionisti che mi hanno aiutato a
crescere, ad imparare e ad immergermi sempre di più in questo mondo dove io mi
sento sempre più legata e affezionata, dove io affino ogni giorno il mio modo
di scrivere e spero di regalare attimi, donare evasioni, ed evadere io stessa.
Oggi scrivo meglio, ma mai l’intensità di quel primo libro, con tutte le sue
imperfezioni sarà sostituita.
Il primo libro è come il primo gesto
che fai di ogni cosa.
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asophia intona